venerdì 27 gennaio 2012

Intervista a Effe di Self Publishing Lab

Ho scoperto il sito di Self Publishing Lab seguendo in rete alcune discussioni sul self publishing. Innanzitutto un chiarimento: che cosa offre questo “laboratorio” a un aspirante scrittore? 

Il sito del Self Publishing Lab (http://www.selfpublishinglab.com/un-laboratorio-per-autori-e-lettori/ ) NON è il sito di un’agenzia di servizi editoriali o di Print On Demand; noi non pubblichiamo assolutamente nulla, ma ci “riuniamo” in Rete per discutere ed approfondire le tematiche (e le pratiche) legate al self publishing. Si tratta di un “lab”, appunto, di un workshop permanente, di un luogo di formazione e diffusione culturale, che nelle nostre intenzioni vuole offrire delle conoscenze e delle competenze a quegli autori che volessero far da sé, cercando di coniugare l’autonomia operativa con una costante ricerca di qualità editoriale. 

L’editoria digitale è destinata a cambiare il volto dell’editoria tradizionale? Si può azzardare l’ipotesi che sottrarrà il monopolio della produzione libraria alle attuali case editrici? 

L’editoria digitale non cambia solo il volto dell’editoria, ma anche della stessa esperienza di lettura. Questo significa che la diffusione del sapere passa per nuovi canali ed esperisce nuove modalità: un processo a cui bisogna prestare grande attenzione. L’editoria italiana attuale - caratterizzata, alle sue estremità, dalla presenza deformante di pochi giganti che controllano tutta la filiera produttiva, e da una miriade di editori a pagamento - può sicuramente trovare nel digitale la possibilità per creare nuovi spazi a favore di tanti altri soggetti. Il digitale però ha una sua grammatica, richiede delle competenze e soprattutto un cambio di visione: non si può più vivere di rendite (materiali e simboliche) ma bisogna comprendere che sono mutati gli stessi concetti di qualità, di autorità, d’intermediazione. 

lunedì 23 gennaio 2012

Barbablù, una fiaba molto realistica

La strage di donne nel mondo continua 


Barbablù è il contrario della Bella e la bestia: la seconda, fiaba per eccellenza dell'innamoramento, della capacità di vedere bello ciò che per gli altri è ordinario o addirittura orribile; la prima, fiaba della disillusione, della capacità di riconoscere i difetti, talvolta gravi e minacciosi, di chi si era visto colmo di pregi nella fase dell'innamoramento. Raccontando un passaggio dal meglio al meno peggio, da un climax a un anticlimax, si presenta come una fiaba delle più terribili e realistiche; non per niente affonda le radici in molti racconti e cronache di fatti realmente avvenuti nei secoli. Divenuto soprannome di celebri serial killer del passato, Barbablù si può considerare un personaggio quanto mai attuale, intramontabile. 
Il 7 gennaio di quest'anno sul Corriere della sera è comparso un breve articolo di Lea Melandri a commento dell'interminabile scia di delitti che continuano a essere perpetrati contro le donne da fidanzati, mariti, innamorati. Sebbene per molti aspetti la condizione femminile risulti migliorata nel tempo, si legge che l'aggressività maschile contro il gentil sesso è la prima causa di morte per le donne di età compresa fra i 16 e i 44 anni in tutto il mondo e che comunque l'abitudine di porle in posizione secondaria e subalterna, anche nei luoghi di lavoro dove dovrebbero avere pari opportunità, si ripete costante. Lea Melandri nel recente libro pubblicato da Bollati Boringhieri col titolo Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà (2011) non si limita ad avvalersi delle ampie ricerche sociologiche di Pierre Bourdieu sul dominio maschile, ma fornisce anche una sottile interpretazione psicologica dell'inestricabile ambivalenza che spesso accompagna le relazioni affettive fra i sessi a partire da quegli eventi forti e indimenticabili che sono per tutti la nascita da un essere femminile e l'infanzia a esso legata, con implicito riferimento all'analisi della psiche che condussero così acutamente Sigmund Freud e Melanie Klein. La teoria kleiniana in particolare si concentra sul rapporto con la madre nei primi mesi e anni, sull'enorme potere che essa rappresenta per un essere piccolissimo che le è completamente affidato e che può destare nel bambino sentimenti consci e inconsci di paura, invidia, odio, a seconda di come viene percepita. 

giovedì 19 gennaio 2012

Giocare a mangiarsi

Incipit di un romanzo apocalittico di Mariano Bargellini

Su questo tormentone del videogioco degl’insetti, chiamato confidenzialmente “giocare a mangiarsi”, su questa febbre contagiosa (e perniciosa per la nostra società), finora le televisioni e i giornali ci hanno detto il meno, mi sembra. Ah sì? Vuoi scherzare! E gl’indugi raccapriccianti della telecamera sulle pozze di sangue negl’interni della gente normale, nelle case di famiglie tranquille, felici, e talora la veduta persino (benché rapida, da guardoni timidi) di quei corpi stritolati (orrore!) da avvinghiamenti spinosi, da abbracci irti d’aculei, o dai colpi di mandibola di un microcosmo zoologico ingranditosi a scala umana, e le facce delle vittime sfigurate gonfie livide per i baci maritali filiali fraterni, non già dati, dardeggiati inferti con il pungiglione e il veleno? Insomma, non siamo informati ancora abbastanza? Gl’imitatori degli insetti e i discepoli dell’arte di uccidere loro propria sono seguiti e quasi adulati, semmai, dalle televisioni e dai giornali. E godono di spazi televisivi e hanno dei ritagli da sventolare (le sbrodolate degli opinion makers) più che qualsiasi seguace d’altre mode e setta d’assassini convenzionali. Come si fa a sostenere che i mass media occultano la verità? O una parte. E che ci abbiano detto il meno su certe conseguenze delittuose (entro le mura domestiche, principalmente) della passione nazionale, della mania dilagante inarrestabile per questo videogioco degl’insetti: che a chiamarlo “giocare a mangiarsi” adesso vengono davvero i brividi. Purché si sia immuni, ancora, da un contagio furioso. Purché si sia ancora, oltracciò, dotati di coscienza umana, non dell’istinto infallibile di un automa qual è l’insetto, virtuale, siamo d’accordo, ma diventato nostro padrone, nostro pilota cibernetico, dacché abbiamo deciso, stolti, di chiuderci nella sua corazza e di aprire un sito (scusate il bisticcio di parole), d’aprire (tra gli insetti!) un sito-internet, e, va da sé, di chiuderci (noi uomini!) in quelle loro corazze d’ombra. Là, nel Theatro degli entòmati. Là, nel Theatro degli autòmati.

domenica 15 gennaio 2012

Preferirei di no

Era già la quinta che vedevamo, ma era prevedibile che non trovassimo subito. Troppo cupa, angusta... Si sarebbe potuto cambiare il colore delle pareti ma, si sa, la prima impressione è quella che conta. Il cliente mi disse che, entrando, era riuscito solo a immaginare candele accese, letture a lume di candela, lugubri veglie notturne. Certo quel soppalco, un senso di claustrofobia, lo dava… All'esterno tirammo entrambi un sospiro di sollievo. 
Se la prima visita gli avesse fatto una buona impressione, mi avrebbe proposto di fare un secondo sopralluogo insieme con la ragazza. Dovemmo aspettare l'ottava visita per avere l'onore della sua compagnia, che in effetti ravvivò notevolmente l'entusiasmo della ricerca. 
Nel corso della perlustrazione dei vani di quell'immobile sito in un quartiere residenziale, lei ebbe addirittura una folgorazione: "Ho visto i bambini! Caro, credimi, questa è la nostra casa!", non fece mistero di esclamare abbracciando il mio cliente per la gioia. Mi spiegò che nel vano cucina, stretto ma luminoso, aveva visto chiaramente loro quattro seduti al tavolo centrale, cioè loro due con i figli futuri: la grande finestra allargava notevolmente il senso dello spazio. Si provò a parlare di compromesso, ma la proposta non fu accettata dai proprietari. La ragazza restò così delusa che non comparve per un po'. Lui invece, flemmatico, sistematico, proseguì con una o due visite la settimana. 
Gli piacque un appartamento che trovai anch'io molto grazioso. Le piastrelle dietro l'acquaio ricordavano gli azulejos portoghesi; inoltre la cucina dava su un'ampia veranda straripante di piante e di utensili da giardinaggio. In un angolo così curato persino lavare i piatti avrebbe potuto riservare occasioni contemplative, occasioni che il mio cliente era ansioso di cogliere, a quanto pareva. Da parte sua la ragazza, ancora "in lutto" per la visita precedente, non volle venire a vedere lo stabile. In attesa che si riprendesse, passammo ad altri appartamenti.

mercoledì 11 gennaio 2012

Perché vengono?

Un discorso di James Hillman


Chi sono, gli animali che compaiono nei nostri sogni, e perché vengono a noi, proprio a noi che abbiamo trascorso gli ultimi due secoli a stermi­narli regolarmente, a un ritmo sempre più rapido, senza pietà, specie per specie, in ogni parte del mondo? 

Eppure, con quanta incrollabile fiducia conti­nuano a entrare nella nostra anima del sogno, nel­le nostre fantasie infantili, nel nostro immaginario artistico - e a spezzarci il cuore con le loro soffe­renze. Un cormorano cosparso di petrolio, la car­cassa di un rinoceronte macellato per il corno, i maiali che gridano nei recinti dei mattatoi, il pe­sce capovolto che galleggia, le balene arenate, morenti. 

Chi sono, loro che hanno formato il massimo sistema simbolico della coscienza umana dai tem­pi di Altamira? E noi come viviamo con loro, ora che questa intimità con il loro mondo e con la no­stra animalità ha ceduto completamente il passo alla separazione? Pur separati dalle nostre vite - a eccezione dei cuccioli che coccoliamo, feticci residuali di una comunione arcaica - essi ci perse­guitano nei sogni e nelle fantasie artistiche delle nostre poesie, dei film e dei romanzi.

lunedì 9 gennaio 2012

Work-in-blogger

Intervista ad Alessandro Raveggi

Cominciamo dal tuo work-in-blogger, come tu stesso l’hai soprannominato, il blog Nella vasca dei terribili piranha, che avevi pensato potesse essere un piano di lavoro visibile e interattivo, un’area amplificata e socializzata dell’omonimo romanzo che stavi scrivendo. Che bilancio hai tratto da quel primo esperimento di “blog-spia” sul lavoro segreto e preparatorio di uno scrittore?

Mi sono divertito un sacco. Ho aperto la scrivania di materiali consultati per comporre il romanzo (musiche, immagini, testi, saggi, manoscritti antichi) nell’arco di due anni, dal 2008 al 2009. Ho finito di scrivere il romanzo nel luglio del 2009, dall’altro lato dell’Oceano Atlantico, e ho praticamente interrotto il blog, lasciandolo come archivio aperto. In questo modo, condividendoli, li ho anche distanziati, quei materiali: li ho alleggeriti per permettermi di usarli all’interno della narrazione. Il blog ha avuto un discreto seguito, anche se ci tengo a precisare che sul blog difficilmente si trovavano pezzi del romanzo e lo considero un’elaborazione autonoma – non è un romanzo on-line, o un ipertesto, ma appunto un desktop aperto. Il romanzo omonimo è invece ancora in giro, molti editori importanti l’hanno letto con entusiasmo, ma l’hanno ahimè considerato troppo complesso per struttura e scrittura, per il loro pubblico. Gli editori medio-bassi in generale, salvo illuminazioni, hanno lettori troppo sottopagati per avere la pazienza di leggere un libro con molteplici storie incrociate. Vedremo, magari uscirà tra venti anni, anche se aumentano i suoi estimatori, e non si sa mai... Intanto, mi sto dedicando anima e corpo al nuovo romanzo, che credo sia anche una nuova fase della mia scrittura e si distanzia dal primo. E ho altre proposte che stanno girando per qualche editore, come un libro di memorie di viaggio messicane, apparse alcune su Alfabeta2, Carmilla e Il Reportage. 

mercoledì 4 gennaio 2012

Intervista a me stessa


Roberta, perché questo blog, dal momento che ami i libri, hai studiato sui libri, leggi e scrivi spesso e volentieri su carta, vivi circondata da libri eccetera eccetera…?

Una svolta nella mia vita di scrivente è avvenuta qualche anno fa (nel 2008), quando alcuni miei brani narrativi o interventi su letteratura e attualità iniziarono a essere pubblicati sul sito del Primo amore, mentre i primi articoli erano comparsi sui numeri cartacei come era avvenuto per tutte le altre collaborazioni con le riviste. Ho interpretato il passaggio dalle riviste cartacee al web come una maggiore possibilità di raggiungere gli altri. La prima parte di questo blog comprende tutti (o quasi) i pezzi apparsi su vari siti e riviste on-line e vuole essere un mio nuovo tentativo di rivolgermi al mondo saltando il tradizionale passaggio editoriale, con tutti i suoi filtri, limiti e tempi d’attesa.

Perché il titolo Lettere a nessuno, seppure un po’ modificato?

Queste lettere sono scritte al mondo da parte di una “nessuno” (dove “nessuno” è inteso nel senso di persona non riconosciuta). Mi ritengo una scrittrice non riconosciuta, che non può pubblicare. Gli articoli e i frammenti del blog sono inviati a tutti e a nessuno, a chiunque sarà curioso di leggere. Si tratta del classico messaggio in bottiglia o di sassi gettati nello stagno del web nella speranza che producano delle onde, come ho detto altrove.
Nel celebre libro di Moresco l’autore scriveva lettere non spedite ad interlocutori del mondo della cultura che sapeva non gli avrebbero mai risposto, poiché lo ignoravano, non l’avevano ancora riconosciuto loro pari. Erano lettere a nessuno perché immaginarie, impossibili sia da mandare che da ricevere proprio perché non esisteva il rapporto umano necessario alla corrispondenza. Un dialogo inesistente. Lettere a nessuno e, per riflesso, da nessuno, dal momento che il riconoscimento da parte di un ambiente sociale è necessario per esistere. Più in generale quel libro di Moresco è il diario dell’esclusione da una società letteraria chiusa e pressoché impenetrabile come un castello feudale (il libro di Moresco, soprattutto la prima parte, l’edizione del 1997, è anche più di questo, si colloca sulla scia dei romanzi del Novecento che parlano della solitudine dell’uomo contemporaneo all’interno di una società fondamentalmente indifferente e ostile, ma approfondire l’argomento ci porterebbe fuori tema). La sensazione di un’esclusione ingiusta e arbitraria da un ambiente ristretto, indifferente o addirittura geloso dei suoi privilegi, l’ho avuta anch’io in molti anni di tentativi vani di pubblicazione.

lunedì 2 gennaio 2012

Non sono nata da una costola né dalla casta


Fino a non molto tempo fa una scrittrice nota e considerata era in numerosi casi la moglie di uno scrittore noto e considerato (Elsa Morante, Dacia Maraini, Carmen Llera, per citarne almeno tre, furono in momenti successivi mogli dello stesso scrittore, Alberto Moravia) oppure una personalità bizzarra e isterizzante, talvolta un vero e proprio caso di psicosi conclamata (Alda Merini e Amelia Rosselli, per fare due esempi arcinoti). Nel primo folto gruppo possiamo includere tranquillamente tutte le figlie e parenti d'arte (citiamone una famosissima, Margaret Mazzantini, e una giovanissima Viola Di Grado). I casi parentali sono facilmente spiegabili. Come spiegare invece quello della deferenza verso la follia?
In passato esisteva il fenomeno della glossolalia: il delirio psicotico veniva interpretato come lingua degli dei. Ecco, l'ammirazione per molte poetesse deriva a mio parere anche da qui: la donna-poeta, la donna-folle si situa nel solco delle sibille. Molti personaggi femminili del mito e della letteratura antica sono "pazze" che dicono il vero, spesso non credute, mezze imparentate con gli dei mezze disprezzate dagli uomini: Cassandra e Antigone sono due esempi eccellenti, ma di striscio entra nel gruppo anche la Sfinge, colei che pone indovinelli irrisolvibili, colei che conosce verità inaccettabili… Alla donna è concessa la poesia, restiamo nella tradizione, anche perché, come si sa, la produzione di raccolte, opuscoli e carte poetiche non s'intreccia coi grandi giri d'affari dell'editoria. Più legata a dinamiche di mercato, carriera e successo è invece la produzione di narrativa.